Dietro la lavagna

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La cosa si può riassumere così.

Ci sono due professioni che tutti sono convinti di saper fare: l’insegnante e l’allenatore della nazionale.

Tutti, persino chi scrive “ha” senza acca e chi non conosce il fuorigioco.

E quando, con saccenteria e cattedratica supponenza, li sento sentenziare su queste cose, finisce che baruffo. Baruffo con tutti.

L’arte di insegnare, ad esempio, credo che sia la più difficile da imparare.

Richiede costanza, pazienza, severità e tecnica.

E non è un mestiere fatto solo di contenuti da passare, ma di segni da lasciare.

Chi insegna, in fondo, si prende cura di un pezzetto di futuro.

Così faceva il maestro Perboni del libro Cuore. Schivo ed austero, dedicava tutto se stesso all’istruzione dei suoi alunni che vedeva come la famiglia che non aveva mai avuto.

O il maestro Manzi che, in una tivù in bianco e nero e in una trasmissione dal titolo  “Non è mai troppo tardi”,  insegnava a leggere e a scrivere, disegnando mele su un foglio bianco.

Questa nuova moda di picchiare gli insegnanti, loro non l’avrebbero mai capita.

Loro avrebbero messo genitori e alunni che picchiano i professori, tutti insieme dietro la lavagna.

A riflettere sui propri errori e a scrivere cento volte “sono un coglione” sul quaderno a righe.

Perché questa violenza nasce dalla prepotenza di chi vuole avere sempre ragione.

E mi chiedo quando siamo diventati così, ma soprattutto perché.

Ai miei tempi, se prendevo una nota o un brutto voto, a casa prendevo il resto da mio padre.

Mai uno schiaffo, però.

Bastava una sgridata, un castigo, un’occhiataccia e qualche giorno di silenzio.

Perché non era lo schiaffo, ma il silenzio che contava.

Serviva a farmi capire la colpa, a farla mia.

Adesso i figli non hanno più colpe e i genitori, dopo aver messo bocca sugli orari delle lezioni, sui voti, sulle bocciature, sui libri di testo, sui compiti delle vacanze, escono di casa in pigiama e vanno a scuola a rompere il setto nasale o a spezzare qualche costola all’insegnante che ha osato rimproverare il loro pargolo.

In fondo è per questo che si mandano i figli a scuola, perché diventino migliori dei padri.