Imbrattare i pensieri di colori e luci e ombre è solo una delle mie tante fisime.
E nemmeno la più grave, tutto sommato.
Li accantono in una zona neutra e spoglia della mia mente finché non diventano variopinti, secondo una logica cromatica tutta personale.
Il bianco è il colore della neve, delle lenzuola stese al sole, del porro, delle strisce pedonali, della perla dentro l’ostrica, di un viaggio in Grecia, dei buoni propositi, delle cose che funzionano, degli incastri che si incastrano e del cuore pulito di Matteo.
Il nero è quello degli pneumatici, dell’aria che pesa, dei pensieri che non vorrei, dell’umore del lunedì, dei cappelli degli ebrei ortodossi, della periferia cementificata, del riso venere e del bagno senza finestra.
Il rosso mi piace sulle unghie e sulle labbra, sulle fragole d’estate e sui peperoni d’inverno. Mi ricorda la prepotenza, la confusione, i libri imbrattati, il sugo che faceva mia nonna, le cose che mancano e le cose in eccesso.
Se il mio respiro è quieto e taciturno allora è verde smeraldo, come le foglie che calmano e la musica dei Green Day che consola. Quando si fa più affannoso allora è blu pervinca, come la paura, la profondità, le coincidenze, gli imprevisti e la carrozzeria di alcune Alfa Romeo degli anni ’70.
Blu che a volte sembra nero, ma è blu.
Con il blu sta bene il giallo che è il colore sgargiante e vistoso degli evidenziatori, degli scuolabus, dei capelli delle bambole, del Portogallo, della gelosia, delle ansie di cui vorrei fare a meno, dei gomitoli di lana, del destino che arriva e di una pentola a pressione che borbotta.
Le tonalità del rosa no, non mi piacciono. Il lilla ha un colore indeciso che somiglia a lividi sbiaditi, a promesse infrante, alle foto di chiunque fatte ovunque. Il malva ha una sfumatura pallida come certi turisti del nord e il viola sta bene solo sulle melanzane e sugli abiti dei vescovi.
Ci sono i ricordi d’infanzia nelle sfumature dell’arancione. Ci sono persone e altre età, la fine della scuola, la caccia alle lucertole, il risotto con la zucca, i dormiveglia e i gigli di Mondrian. L’albicocca chiaro è il colore dei pensieri che si lasciano abbracciare, l’ambra quello delle parole che pesano, senza gravare.
Come Picasso nel suo periodo blu, io adesso sono nel mio periodo ocra.
La mia palette va da pensieri tenui e lievi come il beige ad altri scomposti e prepotenti, color ruggine. Certe durezze aspre e ruvide color testa di moro sono addolcite da pennellate di marrone chiaro, con sfumature di biscotto e caramello.
Sono violenza e dolcezza, come il Chianti d’autunno.
Ogni tanto mi fermo ad osservare questa tavolozza impazzita di colori, ignara e felice e senza capirci nulla.
Sarà per questo che ne scrivo, per mettere tutto nero su bianco.
E ora lascio la parola a Freud.