Ad impossibilia nemo tenetur

Che poi nella vita io questo so fare, rifugiarmi nell’impossibile come se lì ci fosse la soluzione.

Ma sono giorni disorientati e improvvisati e l’impossibile non è alla mia portata e mi devo accontentare del necessario.

Così ho ricominciato a mangiarmi le unghie, a tormentare le doppie punte e a parlare con me, di me.

E anche se vorrei fare come il tipo di Into the wild, poi mi basta una passeggiata in pineta su un mucchietto di foglie gialle per fare della speranza il mio pane quotidiano e sperare in un decreto che regali tempo a chi non ce l’ha, pace a chi è in guerra, salute a chi sta poco bene e colori a chi tiene gli occhi chiusi.

Nessuno è tenuto a fare cose impossibili, ma mettere la mascherina, lavarsi le mani e mantenere le distanze sono cose faticose, ma non impossibili.

Eppure per me è difficile capire come su queste tre semplici questioni ci sia così tanto da dire.

(Verrà l’inverno, ma poi passerà.)

Intanto si pensa, si spera, si vuole. Perché persino le cose impossibili hanno il sapore della probabilità.

Il mio sogno a lungo termine sarebbe quello di tornare a viaggiare e, nell’estate del 2022, festeggiare il compleanno sul rooftop del grattacielo più alto di New York dove il panorama è bellissimo e la gente piccolissima.

Quello sul medio periodo sarebbe riuscire a trascorrere il Natale con la mia famiglia, abbracciare parenti che non vedo da una vita, guardare film che parlano di slitte e di renne, ascoltare canzoncine suonate da strani tizi vestiti di rosso e con la barba bianca, facendo discorsi profondi e risate leggere.

Il mio programma nell’immediato, invece, è sedermi e guardare fuori, sperando che piova e scartando una confezione grande di piccole tregue.

E quando fra dieci anni mi chiederanno cosa ho fatto di bello nel 2020, risponderò: ho resistito.

(Verrà l’inverno, ma una primavera nuova presto arriverà.)

Comunque, ho anche un piano per affrontare un eventuale lockdown.

Basta disegnare arcobaleni, basta dire che andrà tutto bene visto che sta andando tutto a cazzo di cane e soprattutto basta canzoni di Rino Gaetano cantate dai balconi.

Ogni sera verso le 19 potremmo, che ne so, affacciarci alla finestra e ripetere la tabellina del nove o ripassare la metrica latina.

Tutti in coro: Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi….

(Verrà l’inverno e, per come la vedo io, si potrebbe andare in letargo per un po’.)