A volte tutto è cambiato, anche se niente sembra cambiato.
Tomasi di Lampedusa la sapeva lunga, ma io di più.
E in questi giorni, in cui ho messo a soqquadro la mia vita per il desiderio di mutare l’immutabile, ho capito che voler cambiare il fuori sposta di qualche virgola anche il dentro.
Piccoli segnali, continui ed impercettibili, un reticolo di fili che tirano ora da una parte ora dall’altra e dopo un po’ si è diversi, senza volerlo.
Se fossi un palazzo di dieci piani, solo uno sarebbe mio. Il resto sarebbe fatto di strade percorse, incroci, successi, delusioni, scelte e possibilità.
In quest’ultima settimana, impastando analisi e ragionamenti, calcoli e ponderazioni, ho costruito un altro piano, l’undicesimo.
Per un’inestricabile congiuntura di eventi, negli ultimi sette giorni ho ricevuto due proposte di lavoro. Quelle sognate da una vita, a tempo indeterminato, in città antiche e belle, su poltrone dove tanti siedono senza avere meriti e capacità.
Per anni ho pensato che mi sarei accontentata anche di una sedia pieghevole in plastica pur di fare quel lavoro, proprio quello.
Così mi sono rimessa a studiare e ho partecipato a dei concorsi, avanzando tre caselle. Ho fatto le prove, sono entrata in graduatoria e ho avanzato altre cinque caselle, ho aspettato la chiamata e quando la chiamata è arrivata ho rifiutato e sono tornata al punto di partenza.
Non è il gioco dell’oca, altrimenti l’oca sarei io.
Ma ci sono momenti nella vita in cui si è già dove si vorrebbe essere e qualsiasi cosa non conta più nulla e le scelte, quelle istintive ed epidermiche, sembrano illogiche se guardate con la ragione.
In quei momenti, però, la ragione non serve o forse quando i sogni si avverano non sono più sogni.
E’ stato un po’ come vincere una battaglia e poi non sapere cosa farne del trofeo ma, in fondo, non c’è niente di più effimero del desiderare e non c’è niente di più serio del vivere.
Per tornare al punto di partenza e far sì che tutto rimanesse com’è, sono cambiata io.
Così, dopo un lungo e gattopardesco “ricalcola percorso”, ho spento il navigatore, tanto ormai sapevo dove andare.
Guidando verso lo status quo è partita la musica. I Deep Purple cantavano Child in time a tutto volume ed io, rullando le braccia e suonando una batteria immaginaria, ho capito di essere sulla strada giusta.
E poi dall’undicesimo piano si vede anche il mare.