Poi c’è questa primavera che non ne vuole sapere più nulla dell’inverno e sembra scoppiare improvvisa, svegliando alberi e uccellini che parlano mille lingue e scrollando un po’ anche noi che siamo mezzi rincoglioniti dal tempo che passa senza far più rumore.
Ce ne stiamo con le mani in tasca e ci guardiamo intorno, cercando conforto in posti vecchi sperando che sembrino nuovi, e in facce nuove sperando che ci ricordino volti vecchi.
Giorni asincroni, di lentezza da goccia d’acqua che cade di quando in quando, di orologio a cui ogni tanto vanno rimesse le lancette nell’ora giusta.
In questo lungo fermo immagine che ha interrotto di colpo la pellicola che stavo vivendo, io sono Achille piè veloce, ma sono anche la tartaruga di Zenone e procedo con la prudenza di chi non sa bene dove poggiare i piedi e con la fretta di mettere due cose in macchina e partire e arrivare proprio mentre il sole tramonta sul mare.
Festina lente.
Rallento per accelerare, come una coraggiosa barchetta di carta che per rimanere in piedi deve procedere senza indugi, ma con l’accortezza di chi saggiamente sa dove vuole arrivare e quando e come.
E anche se il mio baricentro vorrebbe essere altrove, la cautela gli fa da stampella perché arrivata a questo punto so che le battaglie contano, ma conta di più il finale.
Nel frattempo faccio sogni che sanno di futuro perché fra quello che ho e quello che vorrei, forse un equilibrio c’è.
E’ non aver mai smesso di desiderare.
Ed io desidero la vita piuttosto casuale, incasinata e improvvisata che avevo prima dove l’unica cosa contagiosa era una risata, ma anche il mondo che ancora devo vedere, i viaggi, le strade e il domani.
Mi piacerebbe che la vita ricominciasse proprio da dove l’avevo lasciata e, con una consapevolezza diversa, riprendere ad una ad una le cose che sono rimaste ad aspettarmi.
E tu, quando tutto sarà finito, quale sarà la prima cosa che farai?
Io domandarmi se sarà davvero tutto finito (oltre ad andare a fare una passeggiata visto che ultimamente persino i decreti escono più di me.)