Tra le cose di tutti i giorni

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Ci sono giorni in cui John Belushi mi cammina accanto in silenzio, Jim Morrison mi guarda e canta People are strange, Van Gogh dipinge per me una notte stellata, Camilleri mi scrive su un pizzino la ricetta dell’arancino e mia nonna mi accarezza i capelli e mi dice “ciatu mio”.

Sono i giorni in cui le assenze diventano presenze per il solo fatto di esserci, anche senza esserci.

Ci sono giorni a cui chiedo molto e poi mi accontento di quello che arriva, in cui passo il tempo a dire “mah” e talvolta lo alterno con “boh”, giorni in cui basterebbe offrire granita di mandorle agli angoli delle strade per rendere il mondo un posto migliore, giorni così, di piogge improvvise e di lune piene, di ombrelli persi e di dubbi ritrovati, giorni che iniziano appiccicosi e sfatti e finiscono a vaffanculo e birra.

Sono i giorni in cui la papera non galleggia e si naviga a vista sperando di vedere tutti gli scogli.

Ci sono giorni in cui le donne tolgono il reggiseno per Carola, ai bambini di Bibbiano tolgono mamma e papà, ai migranti la possibilità di una vita migliore augurando buon appetito ai pesci, all’umanità ogni traccia di speranza e a me le parole di bocca.

Sono i giorni in cui Astolfo dovrebbe tornare sulla luna a recuperare il senno che da un po’ è stato smarrito.

Ci sono giorni che partono sbagliati e do la colpa al piede che scende dal letto, ma non è così, giorni in cui ho voglia di caffè freddo con panna, di leggere parole altrui che raccontano cose di me che pensavo di conoscere solo io, di togliermi sassolini e scarpe, di riposare all’ombra degli ulivi della Sicilia, di ascoltare le cicale amoreggiare al tramonto, di sapere che le persone che mi sono care stanno bene e allora sto bene anch’io.

Sono giorni che sembrano tutti uguali, ma io no.

Ci sono giorni in cui prendo le cose come vengono, le butto nell’acqua bollente per qualche minuto e poi le passo in padella a fuoco vivo, mentre guardo programmi tv che sembrano la versione sporcacciona del teorema di Ferradini e sogno ad occhi aperti di recitare nella prossima stagione de La casa di carta solo per farmi chiamare Trinacria e andare a scippare le vecchiette che ritirano la pensione alla posta.

Sono giorni in cui si sta così, tra le cose di tutti i giorni, in cerca di un po’ di svago perché anche i carri armati, ogni tanto, vanno oliati.

Intanto domani mangerò al mare e questo mi basta.

Frittura di pesce. Senti come suona bene?