Sono nata al tempo del mangianastri, della coccoina, dei gettoni telefonici e dei pantaloni a zampa d’elefante.
Sono cresciuta con i ciucci colorati, le rotelle di liquirizia, lo zaino Invicta, la cintura El Charro e un pezzo di gesso per giocare a campana.
Sono stata giovane quando si leggeva il Cioè, si ascoltavano i Duran Duran e gli Spandau Ballet e si giocava a Risiko per conquistare i territori.
Mi ritrovo adulta in un tempo in cui mancano le idee, la voglia e la buona creanza, però adesso per conquistare un territorio basta fare tre figli.
Perché se fai il terzo figlio, lo Stato ti dà un pezzo di terra da coltivare.
Mica l’asilo nido gratis o lo sconto sul latte in polvere o una fornitura di pannolini.
No, un terreno da zappare e tre bocche da sfamare.
E per un attimo mi è sembrato di essere in uno di quei saloni sfarzosi di Downton Abbey, a bere il tè con il mignolino alzato, a flirtare con qualche conte inglese e a ridere delle battute pungenti di Lady Violet.
Parlando di feudi, di fittavoli e di maggese.
Insomma, invece di convincermi a fare il primo, qui già parlano del terzo figlio.
Di questo passo, al quarto daranno un aratro. O due caprette che fanno ciao.
E a mia nonna, che di figli ne ha avuti sette, come minimo avrebbero dovuto intestare il Regno delle due Sicilie.
Io invece figli non ne ho, però ho un nipote. A me non regalano niente? Nemmeno una batteria di pentole, una bici con cambio shimano, una rete con le doghe in legno?
Comunque, anche cinque mq di posto auto andrebbero bene.
Oppure facciamo così: tenetevi la terra e alla prossima cazzata che dite, vi ci mando io a zapparla.
(Il pressappochismo al potere. C’è forse qualcosa di peggio? )