Pettinando le bambole

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Viene poi il momento, e non lo avrei creduto mai, in cui persino Epimeteo finisce col farmi tenerezza, con quella sua aria da tonto imbranato.

A differenza di suo fratello Prometeo, colui che capisce prima, Epimeteo le cose le capisce dopo. Quando è troppo tardi.

E infatti sposa Pandora, quella del vaso.

Anch’io, a volte, sono così. Cerco di capire, ma alla fine sembro solo una che non ha capito.

Del sesso e dell’amore vorrei scriverne un giorno, quando ci capirò qualcosa.

Ma intanto c’è questa cosa che da giorni genera in me uno spaesamento che non avevo calcolato, una mancanza d’appigli a cui non ero preparata.

Cosa spinge un uomo ad avere rapporti con le bambole?

Perché in un paese dal grande passato, dal presente confuso e dal futuro incerto, dove crollano ponti e affondano barconi, viene aperta una casa di appuntamenti con bambole gonfiabili?

Mi piacerebbe capire.

Cosa è cambiato? Dov’è la voglia che spinge a toccare cose fatte di carne? Che fine ha fatto il fuoco selvaggio e antico che scaraventa i pensieri oltre l’immaginazione?

Non bastano due tette e un bel culo in silicone per fare una donna. Ci vuole ben altro.

Una donna è una roba molto complicata, molto più di un uomo.

E infatti le bambole non parlano, dove le metti stanno, non rompono i coglioni e la domenica non chiedono di essere portate all’Ikea.

Sarà per questo che ci sono uomini che preferiscono spendere 80 euro per mezz’ora di sesso con un manichino snodabile?

Quelli che si stordiscono con certe beatitudini sono tristissimi, ma non lo sanno.

Al momento, vivaddio, la casa delle bambole è sotto sequestro, ma le prenotazioni fino a marzo del prossimo anno, quelle rimangono.

Una meravigliosa occasione per lo studio dei caratteri umani. Ne verrebbe fuori una roba che manco Shakespeare.

Battute a parte, c’è davvero poco da ridere.

Le bambole al massimo vanno pettinate, non sculacciate.

E, soprattutto, non bisognerebbe mai mischiare i giochi dei grandi con quelli dei bambini.

I secondi sono cose serie.

(Ah, dimenticavo! Un saluto affettuoso al follower che tutti i santissimi giorni, festivi compresi, mi legge da Hong Kong. Chiunque tu sia, palesati. Perché così mi sento osservata come la bambola di porcellana sul letto di mia zia osserva da quarant’anni il lampadario.)

Geremiadi

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Che poi la colpa non è della goccia. E’ di tutta l’acqua che c’era già dentro il vaso.

E’ dei minuscoli piagnistei che ti scaraventano addosso come sassolini mentre cerchi di far quadrare ore e parole, doveri e pretese.

Mugugnano, borbottano, vomitano scemenze, ma guai a farglielo notare.

La barca affonda e loro si lamentano del colore del giubbotto di salvataggio che non è in tinta con quello della scialuppa.

Fa troppo caldo. Verrà il tempo del troppo freddo. L’importante è lamentarsi.

Sprecano la tua fiducia e poi si lamentano.

Ti chiudono la porta in faccia, rimangono dietro ad origliare e si lamentano.

Tornano quando sei già altrove e si lamentano.

Ti chiedono di essere te stessa, ma se non sei come vogliono loro si lamentano.

Tirano troppo la corda e poi si lamentano se cadono giù.

Si lamentano delle invasioni dei migranti e poi, se i migranti svaniscono nel nulla, si lamentano ancora di più.

Si lamentano dei libri di scuola che costano troppo e poi sono disposti a spendere mille euro per un telefono, senza battere ciglio.

Persino quelli che vivono in località turistiche si lamentano se ci sono troppi turisti.

Continue, noiose, tediosissime geremiadi.

Ma cercando bene sono sicura che anche Geremia, da qualche parte, aveva scritto: “Che scassamento di cabbasisi!”

Ci vuole tanta pazienza. Ma anche un po’ di birra.

E imparare a lasciar correre.

E respirare ogni volta come se fosse un premio.

E accettare il fatto che ogni giorno è nuovo, anche se sembra tutto uguale a ieri. Che il dolore è compreso nel prezzo e il male è il biglietto da strappare per godersi il resto dello spettacolo. Che le stagioni, vanno e vengono e che anche a noi, ogni tanto, toccherà l’inverno.

E soprattutto accettare il fatto che, in fondo, è questo che ci chiede vivere: risolvere problemi o conviverci.

Perché ci vuole arte e un po’ di faccia tosta a scaricare sulle spalle altrui beghe che dovrebbero essere proprie.

Ma quelli che si lamentano ogni giorno hanno provato, che ne so, a stirare gli angoli delle lenzuola con gli angoli?

E poi, di grazia, potrebbero rompere le palle almeno in orari in cui è possibile trovare delle pasticcerie aperte?

Ora che ho finito di lamentarmi di chi si lamenta, datemi una buona notizia, una qualunque.

 [C’è ancora speranza – Lamentazioni 3,29]