Di sacro, profano e dintorni

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E se fosse solo un lenzuolo?

Già, le domande. Niente di più inutile. Niente di più necessario.

Di alcune, però, mancano le risposte. Ci si accontenta, allora, di qualche parola da tenere in tasca. Come briciole di pane da disseminare lungo il tragitto, per non camminare a vuoto.

E se fosse proprio quel lenzuolo?

Già, la fede. Nessuna spiegazione é necessaria, per chi ce l’ha. Nessuna spiegazione é possibile, per chi non ce l’ha.

Ci vuole solo un buon motivo. Per credere, intendo. In un Dio inventato a nostra immagine e somiglianza, che é in cielo, in terra e in ogni luogo.

Lui si, ma io no.

Io non lo so se tutto questo l’ha fatto Dio e se domani ci sarà l’inferno, il purgatorio e il paradiso.

O se tutto questo è nato dal caos e domani non ci sarà nulla.

E non so di chi sia quel lenzuolo. Mi piace, però, che quel lenzuolo ci sia.

Perché mi regala un momento. Solo, unico, irripetibile. Che se qualcuno non lo avesse fermato, quel momento lì, io lo avrei perduto per sempre.

Perché mi racconta una storia. Di un corpo martoriato. Di un volto segnato dal dolore. Di una sofferenza antica che rivedo, oggi, nei corpi e nei volti di tanti poveri cristi. E rivedo nel mare che, da giorni, è un lenzuolo rigato di sangue.

Perché mi ricorda che esiste anche ciò che non si vede. E che ostentare significa farsi vedere.

E quando quel lenzuolo di lino si ostenta diventa, per tanti, conforto e speranza. Riscatto e via d’uscita.

Un cuscino morbido su cui appoggiare piccoli e grandi dolori quotidiani. O un palliativo per sopportarli.

Io, su quel lenzuolo, ci vedo un uomo con la barba e i capelli lunghi. Perseguitato, torturato, crocifisso.

Ci vedo tutti coloro che fanno cento cose, ne azzeccano novantanove e vengono messi in croce per quell’unica cazzata.

Ci vedo chi sono e cosa potrei essere. E altre cose che solo io so.

Perchè questi sono discorsi troppo grandi per un posto così piccolo.

Falla comu vuoi, sempri cucuzza è

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Sono antica, lo ammetto.

Anzi no, mi piacciono le cose antiche.

Le case di una volta, le vecchie città. I muri fatti di pietre, mattoni e calce. Di regolo, livella e filo a piombo. E di malta forte per reggere il tutto, per durare nel tempo.

E la Sicilia è un posto antico.

Profuma di zagara e arancini. Di ficodindia e muretti a secco. Di trazzere e mulattiere. Di strade percorse da Fenici, Greci, Arabi, Normanni, Borboni e che, dopo millemila anni, raccontano una storia ancora bella.

Poi, un giorno, accanto alle strade sono spuntate le autostrade. Fatte di catrame e sputazza. Di prescia e a muzzo. A scadenza, come le mozzarelle.

Perché in Sicilia, ogni volta, è così. Un teatrino gattopardesco. Si cambia tutto affinchè non cambi nulla.

E allora si iniziano lavori che poi non si finiranno. Si annunciano opere con la posa della prima pietra che, si sa già, rimarrà l’unica. Si inaugurano autostrade a Natale che poi, come mattoncini Lego, crolleranno a Santo Stefano.

Perchè, ogni tanto, il mondo ci ricorda chi siamo.

Ogni tanto il mondo si scuote, si agita, si scrolla di dosso un po’ di roba. E vengono giù case e palazzi. E si sbriciolano monti e colline. E crollano ponti e strade.

C’ero anch’io in Sicilia, qualche giorno fa, quando i piloni del viadotto Himera, sull’autostrana Palermo-Catania, si sono rotti i cabbasisi ed hanno ceduto.

E noi isolani siamo rimasti così, isolati. Divisi in due. Separati in casa.

In balia di strade alternative piene zeppe di scatolette di latta, con dentro carne umana che vomita veleno.

Dei treni, poi, neanche a parlarne.

Così, per andare da Catania a Palermo, l’unica alternativa rimane la circumnavigazione dell’isola.

E, mentre si è per mare, cresce il rimpianto che le pietre di oggi non siano più quelle di una volta. Che il mondo antico sia finito. E che gli dei dell’Olimpo non siano più in servizio.

Perché, quegli dei lì, se in questi giorni avessero ascoltato le solite frasi intrise di retorica e ipocrisia dei soliti ministri fintamente affranti, li avrebbero inceneriti con una folgore.

Ma quegli dei lì non sono più al loro posto, soppiantati da un Dio che ha creato l’uomo dal nulla. E il nulla, in questi casi, traspare.

La solita storia. Le solite promesse. La solita minestra.

Ma falla comu vuoi, sempri cucuzza è.

E della solita minestra, in Sicilia, non ne possono più nemmeno le pietre.

Ecco perchè poi, ogni tanto, crollano.