Sarà per via del karma. O della legge del contrappasso. Oppure si tratta semplicemente di giustizia divina.
Fatto sta che, la nemesi del mito dell’eterna giovinezza, io me la immagino proprio così.
Un uomo di settantotto anni, con la fissa delle minorenni, costretto a stare in una casa di riposo ad assistere altri anziani.
Quattro ore a settimana, per quasi un anno.
Come uno stage, una rimpatriata fra coetanei. Invece si chiama pena alternativa. Ed è quella toccata a Silvio.
La pena consiste, appunto, nel frequentare donne della sua stessa età.
L’alternativa è, invece, quella di passare dai soliti servizietti ai servizi sociali veri e propri. Dalle scopate allo scopone. Dall’etere al catetere.
A nulla è valso il trapianto di capelli. E nemmeno il ricorso al lifting cranio-facciale. Silvio, a Villa Arzilla, sarà uno di loro. Un vecchio tra vecchi. Un assistente ma anche un assistito.
E, come una qualunque badante moldava, dovrà occuparsi di pannoloni, distribuire adesivi per dentiere, spingere carrozzine, giocare a tombola e, talvolta, raccontare barzellette.
Un processo lungo e, alla fine, una grazia mascherata da condanna. E un uomo da rieducare. Tutto qui.
Ma solo una volta a settimana, giusto un paio d’ore con altri vecchietti. Che trattandosi di malati di Alzheimer, di tutto ciò, non conserveranno alcun ricordo. Almeno loro.
Dimenticheranno presto le merende cosiddette eleganti, le battute salaci alle giovani infermiere, le canzoni di Apicella strimpellate al pianoforte.
E si dimenticheranno presto anche di lui. Di Silvio. Di quell’ anziano, vispo e pimpante, condannato a svolgere un servizio socialmente (in)utile.
Perchè la legge non è uguale per tutti. Dunque confido nella nemesi. Una volta a settimana.