Nemmeno con un fiore

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Gli uomini si dividono in due categorie. Alla prima appartengono gli Uomini. Alla seconda tutti gli altri.

Basta poco per rendere maiuscola la U di uomo. Basta essere sicuri di sè e non temere le donne sicure di sè.

Basta pochissimo per rendere minuscola la u. Basta quella storia del prurito alle mani. Quella che risale a cento, mille anni fa. Quella che fa diventare gli uomini piccoli e il loro ego troppo grande.

Le repliche dell’originaria tragedia vanno in scena quotidianamente. C’è sempre una Desdemona che ha paura di un Otello qualunque. Non sa nemmeno perchè, essendo senza colpa. Ma ha paura.

E allora, nel ricordo di Desdemona, si celebrano giornate mondiali sulla violenza contro le donne. Si fanno leggi in difesa delle donne. Si inventano parole orribili come femminicidio. Si istituiscono codici rosa al pronto soccorso. Oppure si organizzano corsi di autodifesa riservati alle donne.

“Io non ho paura”. Il corso organizzato vicino casa mia si chiama così. Come il libro di Ammaniti, come il film di Salvatores, come la canzone della Mannoia. Un corso di difesa personale per insegnare a Desdemona a non avere paura.

A me è bastato andarci solo una volta per tornare a casa con la testa piena di pensieri. Mi è bastato andarci una volta sola per capire che non ci tornerò più.

Perchè ho capito che non sono le donne che devono imparare a difendersi dalla violenza degli uomini. Sono gli uomini che devono imparare a non picchiare le donne.

Ho capito che non servono nuove leggi. Basterebbe applicare bene quelle che ci sono già. Che ci sono donne che provano a ribellarsi ma poi non vengono tutelate. Che ci sono donne che provano a chiedere aiuto ma poi vengono lasciate da sole. Perchè chi dovrebbe sentire fa finta di non sentire e chi dovrebbe vedere fa finta di non vedere.  Perchè chi dovrebbe parlare fa finta di non aver sentito, nè visto.

Ho capito che solo Bertoldo, condannato a morte dal Re, ottenne la grazia di poter  scegliere almeno l’albero a cui essere impiccato. E che invece a Desdemona non viene concesso di scegliere nemmeno il ramo giusto.

Ho capito che un uomo che picchia le donne non ha scuse. Che le donne vanno maneggiate con cura. Che le donne non si toccano nemmeno con un fiore. Neanche con una rosa, per via delle spine.

Non si toccano. Punto.

Un’altra?! Già. Anche oggi un’altra.

 

Con la testa fra le nuvole

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L’altro giorno stavo su un aereo. Uno di quei voli pezzenti low cost dove l’unico pilota affidabile è quello automatico e dove le hostess sorridono sempre. Anche durante le turbolenze, anche se hanno avuto una giornata di merda, anche se sono mestruate. Loro comunque sorridono, per contratto.

Quando salgo su un aereo penso sempre che non bisognerebbe mai accettare passaggi dagli sconosciuti. E che il numero degli atterraggi dovrebbe essere sempre uguale al numero dei decolli.

Quando i pensieri diventano troppo rumorosi li metto in modalità aerea. Così non li sento più. Così posso guardare il mondo dall’oblò. E il mondo visto da lassù sembra quasi bello. Nuvole a forma di asterisco, a cuore, a cappello. Con la testa fra le nuvole, gli occhi vedono e la mente sagoma.

E’ facile perdersi in un cielo così grande. E chissà dove vanno a finire gli aerei quando si perdono. Perchè a volte si perdono. Puff! Scompaiono come in un gioco di prestigio. Come in una puntata di Lost. Come quando sparisce un calzino nella lavatrice.

La mia parrucchiera ha una teoria tutta sua.  Per lei, la colpa è degli alieni. Per la mia estetista invece c’entrano i talebani. E non ho ancora parlato con il giornalaio. Perchè noi siamo fatti così. Fino a qualche giorno fa tutti esperti di cinema. Ieri di politica estera. Oggi tutti ingegneri aerospaziali. E fra qualche mese saremo tutti allenatori di calcio.

Un po’ spioni e un po’ spiati, ecco come siamo. E proprio quando si pensa di avere tutto sotto  controllo, qualcosa sfugge.  Qualcosa improvvisamente sparisce, nel nulla. Aerei che si perdono, come aghi in un pagliaio.

Insomma, quando sono con la testa fra le nuvole non vedo l’ora di tornare con i piedi per terra. Perchè ho ancora mille cose da fare. Andare a Machu Picchu, mungere una mucca, pubblicare un libro, sposare uno sconosciuto a Las Vegas, fare il cammino di Santiago, guidare una DeLorean, iscrivermi ad un corso di cucina, imparare a giocare a scacchi, salire su un taxi e gridare “segua quel taxi!”.

E poi è inutile girarci attorno. Detesto pensare che quelle noccioline rammollite che danno sull’aereo potrebbero essere il mio ultimo pasto.

Dietrologia (titolo provvisorio)

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Li osservo da un po’.

A prima vista sembrano normali. Ma non lo sono. Mettono il cappottino al cane, ascoltano Radio Maria a palla e danno alla rete WiFi nomi assurdi: Martinatiaamo, stronzochilegge, lapacchiaèfinita.

Da che mondo è mondo i vicini di casa non si scelgono, si subiscono. Più o meno pazientemente. E spesso si detestano. Più o meno cordialmente.

Li ho osservati per un po’. La fauna umana che popola il mio palazzo è variegata e pittoresca. Non manca nessuno, come nella casa del Grande Fratello. C’è un tizio che alleva conigli nani sul terrazzo; c’è una tipa strana che brucia tanto di quell’incenso che manco in Vaticano; c’è Vincenzo, l’omino dell’ultimo piano che è sempre a trafficare attorno alla parabola di Sky quasi fosse un’estensione del suo pene. C’è anche Carlo, detto Fiatella, per via dell’alito che sa di morte. E poi c’è quello che ogni domenica mattina, alle otto in punto, accende il tagliaerba. Perchè si sa, l’erba del vicino deve essere sempre più verde.

Da qualche mese ho un nuovo dirimpettaio. E già lo odio. E’ brasiliano, è trans, esercita spesso a casa ed ha una vita sociale decisamente più movimentata della mia. Ma mica lo odio per questo.

Lo odio perchè ha scelto Joselita come nome di battaglia. E quindi di citofono.

Ricapitoliamo. Chiamarsi Josè e avere un vicino di casa che si fa chiamare Joselita è solo una banale coincidenza. Se però Joselita ha dei clienti che sbagliano sempre campanello e citofonano a Josè a qualsiasi ora del giorno e della notte allora è proprio sfiga. Ed è quando suona il citofono alle due di notte che Josè si trasforma. In scaricatore di porto. Oppure in Jack lo Squartatore.

Il dirimpettaio l’ho temuto sin dal primo giorno, da quando l’ho visto traslocare utilizzando il carrello della spesa. Dopo qualche giorno l’ho rivisto sul balcone. Sciau bela, mi ha detto barcollando su un tacco dodici. Aveva una vestaglia rosa, annaffiava i gerani truccato come un pupo siciliano e canticchiava “Voglio andare a vivere in campagna…haha…haha”. Poi ho scoperto che, di Toto Cutugno, possiede l’opera omnia.

Ho anche scoperto che tutti i suoi clienti si chiamano Mario.

“Chi è?”.

“Buonasera, sono Mario. C’è Joselita?”.

“No. Ha sbagliato campanello”.

“Ma ne è sicura?”

“Sicurissima”.

“Ops, allora mi scusi. Mi apre comunque il portone? Posso salire un attimo?”.

“No, grazie. Non sono interessata”.

Ogni sera il solito… trans trans. Ogni sera la solita… dietrologia.

Alla fine mi è toccato cambiare il nome sul citofono. E da quando c’è scritto “Olindo&Rosa” non bussano più nemmeno i testimoni di Geova.